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Le ferite passano, le cicatrici restano

Immagine del redattore: Claudio RomanoClaudio Romano

 

Fin dai primi anni di scuola, tutti abbiamo imparato la storia dei cani di Ivan Pavlov, lo scienziato russo che ha scoperto il riflesso incondizionato.

L’esperimento è noto: ad alcuni cani veniva dato del cibo associando sempre il suono di una campanella. Dopo un certo numero di volte al solo suono del campanello lo scienziato notò che i cani iniziavano a salivare. Questa scoperta fruttò un Nobel allo scienziato russo. Se la storia è di conoscenza comune, molto meno noto è il seguito di questa vicenda: nel 1924 una fortissima alluvione travolse Leningrado dove Pavlov teneva il suo laboratorio e il suo canile. L’acqua arrivò alle gabbie e la maggior parte dei cani morirono annegati.

Pavlov passò mesi a studiare gli animali sopravvissuti all’alluvione. Molti di loro non erano più gli stessi, avevano personalità completamente diverse e avevano perso i comportamenti precedentemente appresi. Undici giorni dopo l’alluvione, Pavlov annotò: «dopo il trillo del campanello tutti i riflessi condizionati sono completamente scomparsi, gli animali rifiutano il cibo, sono irrequieti e guardano continuamente la porta».

Si dice che tutti gli esseri umani abbiano una memoria del dolore a corto raggio. Forse per questo siamo tutti consapevoli che il tempo riesca a guarire tutte le ferite. Ma lo stress intenso lascia una cicatrice, a volte indelebile. Non è difficile da capire: vivere un’esperienza che ci costringe a guardare in faccia alla morte e a chiederci se riusciremo a sopravvivere può resettare in modo permanente le nostre aspettative e può modificare comportamenti radicati, proprio come è successo ai cani di Pavlov.


Natura del trauma

Primo punto. Di fronte al pericolo le reazioni umane sono le medesime di tutti i mammiferi: allerta, azione (fuga, lotta) e infine scarica dell’energia attivata. Hai mai notato che gli animali tremano dopo un evento traumatico per liberarsi dallo stress? Se per un motivo psicologico, sociale o culturale questo ciclo biologico non viene completato il nostro sistema PNEI (Psico-Neuro-Endo-Immunitario) rimane in allerta e questo stato di tensione potrebbe cominciare a produrre sintomi. Di qualunque genere.


Il mio trauma non è come il tuo

Come possiamo facilmente immaginare gli eventi traumatici più pesanti sono guerra, atti di violenza, incidenti o abusi. Ma non tutti sanno che le persone possono restare sconvolte da eventi che la maggior parte di noi considerano appena sopra la normalità. Altra considerazione non scontata: la ricerca ha evidenziato che non è l’evento in sé a generare i sintomi del trauma, ma siamo noi stessi. È la nostra reazione a generare il male. O meglio, sono le nostre credenze a farlo.

Se vedi traumi laddove gli altri vedono normalità è molto probabile che tu appartenga alla tipologia PAS (Persone Altamente Sensibili), argomento tratteggiato nel mio libro La Cassetta degli Attrezzi. Ora io voglio affrontarlo da un altro punto di vista.


Primo passo: definire il problema

Abbiamo aperto con un’affermazione forte: le ferite passano, le cicatrici restano. Se riusciamo a vederle, aggiungo. Se la cicatrice non è visibile, stiamo parlando di qualcosa che nessun libro e nessuna persona normale è in grado di contrastare. Se stai male e non sai perché, il mio personale consiglio è di rivolgerti ad uno specialista. Anche quella della nostra mente è salute e non prendersene cura è un errore che si può pagare caro.

Le cicatrici del trauma, ci raccontano una storia che non possiamo ignorare. Sono il segno tangibile di ciò che abbiamo attraversato, e sebbene possano sembrare un limite, possono anche diventare un punto di partenza. Accettare la presenza di queste cicatrici non significa arrendersi al dolore, ma riconoscerne l’esistenza come parte del nostro percorso.


Secondo e ultimo passo: il mondo è pieno di soluzioni

Ogni trauma ci offre una doppia opportunità: comprendere meglio noi stessi e rafforzare la nostra resilienza. Non si tratta di “superare” il trauma come se fosse un ostacolo da dimenticare, ma di integrarlo nella nostra storia personale, accettando che alcune esperienze ci cambiano per sempre.

È sbagliato porre i termini della questione nel concetto di “guarigione”. Ci sono cicatrici che non ci consentiranno mai di tornare allo stadio precedente. Ma non siamo soli. Esistono libri, strumenti e persone in grado di aiutarci. Solo nel mio modestissimo libro sono stato in grado di elencarti due dozzine di modi per crescere. Solo riconoscendo le nostre fragilità possiamo costruire una nuova forza, una vita che, pur con le sue cicatrici, è piena di possibilità.

Come scrisse Pavlov osservando i suoi cani: “Anche nell’incertezza e nel cambiamento, esiste la possibilità di ricostruire ciò che si è perso”. Sta a noi scegliere di affrontare il trauma con coraggio.

 
 

1 comentário


Luigi
14 de dez. de 2024

complimenti per l'articolo!

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